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POESIA

Le prime opere poetiche di Claudio Fiorentini nascono in Messico, terra della sua adolescenza. Inizialmente si cimenta con il verso libero e con i sonetti, fino a quando, con il rientro in Italia, approda alla poesia sperimentale, partecipando per quasi dieci anni al movimento chiamato Metasimbolismo, insieme a Francesco Maria Mecarolo e Gabriella Di Francesco. La sua prima pubblicazione, Da comunque Uomo, è una silloge di 33 liriche di ispirazione schiettamente metasimbolica.

 Nel 2015 pubblica Grido, inizio di un percorso verso una poesia dialogante che trova il suo apice in Sinfonia, del 2017. Nel 2018 pubblica, con lo pseudonimo di Anonimo Monteverdino, una raccolta di sonetti e pasquinate in dialetto romanesco, satira pungente dall’ironia tipicamente romana con cui prende di mira fatti e personaggi dell’epoca. Nel 2019 pubblica I colori dell’Iride, silloge che prende spunto da un poemetto dove a parlare sono i colori.

Con il tempo i suoi lavori poetici diventano più dialoganti, senza però mai abbandonare gli aspetti mistici o metafisici, propri del Metasimbolismo, insiti nella continua ricerca della profondità del verso. Nel 2010 viene inserito nell’antologia L’evoluzione delle forme poetiche, curata da Ninnj Di Stefano Busà e da Antonio Spagnuolo, e subito dopo pubblica Incauta magia del mentre, libro di poesia e fotografia, nel quale sfumano i caratteri metasimbolici per tornare a una poesia meno sperimentale. 

cop scarti.jpg

Scarti non foste (Progetto Cultura)

Stefano Zampieri è un importante pittore romano e, insieme a Progetto Cultura, dirige la collana "Via Silla 66", che pubblica poesie di autori invitati dallo stesso pittore. Le copertine e le pagine sono dell'artista, ma la pagina finale contiene un suo disegno fatto a mano, trasformando ogni copia in un oggetto d'arte unico. Claudio Fiorentini ha partecipato a questo progetto con una silloge che contiene alcuni suoi componimenti scritti nel suo inconfondibile stile, ma ha anche suddiviso il libro in capitoli, introducendoli con sonetti o con poemi in terzine, scritti tutti nell'anno di Dante, quando l'autore ha voluto celebrare il sommo poeta scrivendo, appunto, solo in metrica e rima.

Credo che la morte si annoi a uccidere i vecchi

Loro non fanno resistenza

Stanno lì ad aspettarla

Del resto per loro la vita è passata

A volte però balla un po’ troppo con la vecchiaia

Che porta via le forze, i ricordi, il movimento

E gli occhi smettono di brillare prima della fine

Credo che la morta abbia bisogno di una sua dose di vita

La morte è drogata e a a volte ha bisogno di una overdose

Per questo la morte

Di tanto in tanto

si diletta a vistare chi non ne ha bisogno

quelli più giovani

e a volte uccide anche in malo modo

e si arrabbia

perché neanche loro,

che sono quelli con ancora da vivere,

fanno resistenza

anche se non hanno ricordi, anche se hanno solo vita davanti

ma poi la morte si annoia anche con loro

e a quel punto diventa democratica

o forse anarchica,

 mira a casaccio e uccide senza metodo

si diverte nelle guerre

nei disastri naturali

colpendo qui e là senza fare questioni

e così tira avanti nel suo turbine instabile

del resto la morte è pigra e non guarda in faccia a nessuno

e alla fine, stufa anche dei privilegi,

concessi a chi ha come curarsi

a chi ha di che mangiare,

si copre gli occhi per non guardare quale vittima colpisce

e poi vola via sempre ad occhi coperti

per non guardare il frutto del suo seme

del resto la morte è così

giustifica la vita

e definisce le sue forme per sempre.

​

​

Ho qui nel mio cassetto

la luce che non vedo.

Chiuso per me e per gli altri

nero di legno dipinto

e principe di polvere

con medicine e documenti

a ricordare che identità e salute

sono da proteggere.

Interrogo spietate forme che inscatolano

e tacciono

e vado avanti come ogni giorno

a rispecchiarmi in maschere

volute e disprezzate

per una porzione di vita

che appassisce.

​

​

Da tempo in testa mi tormenta un tarlo

e non so come far per dir la mia,

ma se chi tace è complice, io parlo!

 

Io chiedo ad ogni Vostra Signoria

d’aver pazienza e legger fino in fondo

questo mio scritto in veste di poesia.

 

Le lingue che si parlano nel mondo

risentono dei tanti cambiamenti

che han investito l’omo a tutto tondo.

 

Ma non si può non essere scontenti

se invece di parlar correttamente

si parla con l’errore ‘n mezzo ai denti.

 

Gli strafalcioni ch’or vengono in mente:

“c’entra” senza l’apostrofo, che orrore

e leggo “questo qui non centra niente”

 

quando nell’intenzione dell’autore

c’era la presunzione d’innocenza.

Ma ci son cavolate più sonore

 

dico, ad esempio, che con più frequenza

“piuttosto che” si usa in modo errato

perché quest’espressione, nell’essenza

 

presenta di una scelta il risultato,

e se tu scegli, il resto è stato escluso.

Ma l’italiano è un mito un po’ appannato,

 

infatti le parole ad oggi in uso

non possono chiamarsi strafalcioni

ma sono un gioco a chi trova l’intruso:

 

Diciamo meetings per non dir riunioni

oppure Ok al posto di d’accordo   

e fusion sta per contaminazioni,

 

ma in italiano, questo non ricordo

come chiamiamo il numero del plico?

Si chiama tracking number! E m’accordo

 

con lo spedizioniere per la data

della consegna usando, chiaramente,

la busta, quella che è standardizzata.

 

E il cruccio mio è che già troppa gente

dice uazzap, feisbuc, onlain, ciattare

squartando l’italiano impunemente.

 

Ma peggio, cari miei, ormai tuercare

- per dire del danzar com nell’amplesso -

è entrato nel linguaggio popolare!

 

Per carità, non è question di sesso,

ma una parola brutta, e brutta assai,

che in più tra l’atto e il suono non ha nesso,

 

non può rientrar nel lessico: giammai!

Che dire, grazie a questa nostra boria

la lingua passa tanti, tanti guai

 

perché siam tutti esperti, e la memoria

dell’ignoranza, ormai, l’abbiamo offesa…

e in queste condizion scriviam la storia.

 

Claudio Fiorentini

I-colori-delliride.jpeg

I colori dell’iride (Ensemble)

I colori parlano, si esprimono attraverso le parole e a volte si ribellano alla loro condizione. Vi fanno cornice il nero e il bianco, due non-colori simbolo dell’assorbimento e del riflesso, poli opposti della stessa energia. I temi cari a Fiorentini sono trattati con distacco, come quando un violinista scompare per permettere alla musica di volare senza di lui.

L’inno Nazionale

 

C’era ‘na vorta ‘n piccolo cantante
che er pane quotidiano arimediava
mischiato ar personale navigante
cantanno pe’ chi ar tempo navigava

​

ma l’alligalli e er twist quell’omo errante,
che ‘ntanto imprenditore diventava,
abbandonò pe’ ‘n canto più ‘mportante
scritto quando l’Italia cominciava.

​

Ma quanno lui dovette fa’ li conti
cor verso “noi alla morte semo pronti”
fece “così così” con una mano

​

coll’artra, de nascosto e piano piano
co li fedeli sui commilitoni
de certo s’è grattato li cojioni!

​

Nel marzo del 2009 in un evento istituzionale, l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, cantando l’Inno di Mameli, fece con la mano il gesto “così così” al verso “siam pronti alla morte” .

​

​

La moglie piantagrane

​

Poiché la casta annava rinnovata
lui scerse du’ veline, tre modelle
sì belle e profumate giovincelle
e nominò la topa candidata.

​

La mojie, piantagrane rinomata,
disse “Si te volevi fa’ ‘na pelle
mica dovevi anna’ co’ le pischelle!
Guarda che anch’io so’ ‘na bella patata!”

​

Dato che questo è scritto sur giornale,
er popolo è diviso ner giudizzio
su chi dei due sia stato l’amorale.

​

E ‘ntanto la patacca elettorale
diventa er parcoscenico der vizzio:
questa è l’Italia in modo generale!

​

Nel maggio del 2009 ci fu un gran parlare a seguito di alcune dichiarazioni di Veronica Lario, l’allora moglie di Berlusconi, fece riguardo al comportamento del marito, arrivando a definire la candidatura di alcune “veline” come “ciarpame senza pudore per il potere”.

​

​

Ritornano i Savojia, e noi cantamo

 

Fatti recenti c’ hanno dimostrato
che er popolo de quest’Itajia mia
che a li Savojia l’ha cacciati via,
è stato, ‘n’artra vorta, cojionato.

​

Questo Savojia adesso è ritornato
pe’ racontacce mo’ , ‘n’artra bucia
cantanno ‘sta canora melodia:
“Itajia amore mio, t’ho sempre amato”!

​

Detta da lui, se devo esse’ sincero,
fa ride’ a crepapelle ‘sto paese.
Ma er popolo sovrano è ‘n po’ fregnone

​

pe’ cui permette quest’esibbizzione
‘nvece de di’ chiaro a ‘sto borghese:
“A pricincipe, ma va a magna’ er sapone!” .

​

Italia amore mio è una canzone interpretata da Pupo, Emanuele Filiberto di Savoia, e dal tenore Luca Canonici, presentata al Festival di Sanremo 2010.

​

​

Li miti dell’Itajia

​

Vorebbe dedicare ‘sto sonetto
a segnala’ quer ch’oggi fa’ tendenza:
Lapo, Noemi, er pricipe furbetto
Sgarbi e Briatore, i re dell’apparenza

​

Corona, Lele Mora, e adesso smetto
perché nun ha mai fine la scemenza.
E er peggio è ‘n’omo vecchio e piccoletto
che ha monopolizzato l’emittenza.

​

Ladri, aruffoni, ‘n principe borghese
furbetti e delinquenti in libbertà
ecco li miti de ‘sto mio Paese

​

triste destino de ‘st’Itajia mia
che nun avenno più ‘n’identità
prende a modello proprio chicchessia.

​

In quel periodo non si faceva altro che parlare di ignobili personaggi, in qualche modo mitizzati, che ben poco avevano da insegnare al Popolo Italiano.

​

​

Er primo maggio è ancora la festa dei lavoratori?

​

“Lavoratori tutti all’arrembaggio!”
Strillava ‘n’operaio ‘n canottiera.
“È festa pe’ noi tutti. È er primo maggio!”
Io me lo guardo e dico “Bonasera!

​

Chi porti ‘n piazza? Gente de passaggio?
Pe’ tanti, ormai er lavoro è ‘na chimera,
e nun è più ‘na festa, ma ‘n miraggio.
Che te voi celebbra’? Va ‘n piazza e spera!”

​

Lui me rispose “Sì, forse hai raggione.
Ma quelli della mia generazzione
ci avemo avuto ‘n testa l’ideale.”

​

Io je risponno: “Beh, c’è annata male,
er primo maggio ‘n piazza, stanne certo,
la gente verrà solo pe’ er concerto!” .

​

Ogni primo maggio, a Roma, si tiene un concerto a piazza San Giovanni.

​

​

Si Garibbardi l’avesse saputo

​

Se parla tanto de ‘e celebbrazzioni
dell’unità de ‘sto nostro paese:
centocinquanta candeline accese
de ‘n popolo che ha visto distruzzioni, 

​

guere, disastri, e poi ricostruzzioni,
li sogni e poi l’idee che se so arrese
lasciando quest’Itajia in mal arnese
co’ ar posto de comando… Berlusconi!

​

Si Garibbardi l’avesse saputo
che Itajia che sarebbe diventata
tenuta insieme appena co’ lo sputo

​

corotta, sporca e assai maleducata,
avrebbe detto: “No! Io me rifiuto!”
sarvandoce da questa sceneggiata!

​

Con l’avvicinarsi delle celebrazioni dell’unità d’Italia, l’Anonimo fa una riflessione su quanto Garibaldi avrebbe apprezzato lo stato attuale delle cose.

​

​

Fumata bianca

​

Iersera è giunto ar Vaticano desco
dopo li voti der cardinalato,
un suddamericano porporato
che stava pure lui sotto l’affresco.

​

E dar loggione michelangiolesco
è ito ar finestrone e s’è affacciato
rivorto atturbiettorbi, e ha spopolato
dicenno: eccome qua, io so’ Francesco!

​

E noi, da spettatori de la sorte
de questa Roma che ospita l’Eterno,
nun famose illusioni, qui è ‘na guera…

​

Si pe’ fa’ ‘n Papa fumano tre vorte
pe’ da’ all’Itajia ‘n pegno de governo
tocca fumasse la Sibberia ‘ntera!

​

Il 13 marzo 2013 fu eletto Papa Francesco, intanto la crisi di governo continuava.

​

​

Ribellione del lettore

​

Poeti blasonati, ovvia, sentite:
il vostro verseggiar di rime tristi
altro non lascia in me che orgogli misti
al tedio intriso in ciò che voi ci dite

​

perché nel legger sempre rime trite
mi si rivolta pur la colicisti
e vedo voi come stolti narcisisti
che chiudon porte ch’io vi dico: APRITE!

​

Se la poesia di versi è la vendemmia
La vostra sembra quasi una bestemmia
Smettete quindi d’imitar la storia

​

Nel mondo siate quello che ora siete
Perché la storia che voi ripetete
Ci ha rotto l’anatomica amatoria!

​

In questo sonetto, l’Anonimo, educato alla lingua italiana, riflette sulla mania che hanno molti poeti di scrivere poesia classica imitando i classici. E basta!

riflessioni.jpeg

Anonimo Monteverdino – riflessioni sulla storia recente (Ensemble)

Parallelamente al suo percorso poetico, Fiorentini ha coltivato l’arte del sonetto, spesso dialettale, ma sempre ironico e burlone. I suoi sonetti in parte sono pasquinate, cioè, componimenti poetici che prendono di mira il potere o i fatti del giorno, e che devono essere rigorosamente anonimi (da lì la necessità dello pseudonimo). Trattandosi, ormai, di eventi non più attuali, l’identità dell’Anonimo Monteverdino può essere rivelata.

L’inno Nazionale

 

C’era ‘na vorta ‘n piccolo cantante
che er pane quotidiano arimediava
mischiato ar personale navigante
cantanno pe’ chi ar tempo navigava

​

ma l’alligalli e er twist quell’omo errante,
che ‘ntanto imprenditore diventava,
abbandonò pe’ ‘n canto più ‘mportante
scritto quando l’Italia cominciava.

​

Ma quanno lui dovette fa’ li conti
cor verso “noi alla morte semo pronti”
fece “così così” con una mano

​

coll’artra, de nascosto e piano piano
co li fedeli sui commilitoni
de certo s’è grattato li cojioni!

​

Nel marzo del 2009 in un evento istituzionale, l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, cantando l’Inno di Mameli, fece con la mano il gesto “così così” al verso “siam pronti alla morte” .

​

​

La moglie piantagrane

​

Poiché la casta annava rinnovata
lui scerse du’ veline, tre modelle
sì belle e profumate giovincelle
e nominò la topa candidata.

​

La mojie, piantagrane rinomata,
disse “Si te volevi fa’ ‘na pelle
mica dovevi anna’ co’ le pischelle!
Guarda che anch’io so’ ‘na bella patata!”

​

Dato che questo è scritto sur giornale,
er popolo è diviso ner giudizzio
su chi dei due sia stato l’amorale.

​

E ‘ntanto la patacca elettorale
diventa er parcoscenico der vizzio:
questa è l’Italia in modo generale!

​

Nel maggio del 2009 ci fu un gran parlare a seguito di alcune dichiarazioni di Veronica Lario, l’allora moglie di Berlusconi, fece riguardo al comportamento del marito, arrivando a definire la candidatura di alcune “veline” come “ciarpame senza pudore per il potere”.

​

​

Ritornano i Savojia, e noi cantamo

 

Fatti recenti c’ hanno dimostrato
che er popolo de quest’Itajia mia
che a li Savojia l’ha cacciati via,
è stato, ‘n’artra vorta, cojionato.

​

Questo Savojia adesso è ritornato
pe’ racontacce mo’ , ‘n’artra bucia
cantanno ‘sta canora melodia:
“Itajia amore mio, t’ho sempre amato”!

​

Detta da lui, se devo esse’ sincero,
fa ride’ a crepapelle ‘sto paese.
Ma er popolo sovrano è ‘n po’ fregnone

​

pe’ cui permette quest’esibbizzione
‘nvece de di’ chiaro a ‘sto borghese:
“A pricincipe, ma va a magna’ er sapone!” .

​

Italia amore mio è una canzone interpretata da Pupo, Emanuele Filiberto di Savoia, e dal tenore Luca Canonici, presentata al Festival di Sanremo 2010.

​

​

Li miti dell’Itajia

​

Vorebbe dedicare ‘sto sonetto
a segnala’ quer ch’oggi fa’ tendenza:
Lapo, Noemi, er pricipe furbetto
Sgarbi e Briatore, i re dell’apparenza

​

Corona, Lele Mora, e adesso smetto
perché nun ha mai fine la scemenza.
E er peggio è ‘n’omo vecchio e piccoletto
che ha monopolizzato l’emittenza.

​

Ladri, aruffoni, ‘n principe borghese
furbetti e delinquenti in libbertà
ecco li miti de ‘sto mio Paese

​

triste destino de ‘st’Itajia mia
che nun avenno più ‘n’identità
prende a modello proprio chicchessia.

​

In quel periodo non si faceva altro che parlare di ignobili personaggi, in qualche modo mitizzati, che ben poco avevano da insegnare al Popolo Italiano.

​

​

Er primo maggio è ancora la festa dei lavoratori?

​

“Lavoratori tutti all’arrembaggio!”
Strillava ‘n’operaio ‘n canottiera.
“È festa pe’ noi tutti. È er primo maggio!”
Io me lo guardo e dico “Bonasera!

​

Chi porti ‘n piazza? Gente de passaggio?
Pe’ tanti, ormai er lavoro è ‘na chimera,
e nun è più ‘na festa, ma ‘n miraggio.
Che te voi celebbra’? Va ‘n piazza e spera!”

​

Lui me rispose “Sì, forse hai raggione.
Ma quelli della mia generazzione
ci avemo avuto ‘n testa l’ideale.”

​

Io je risponno: “Beh, c’è annata male,
er primo maggio ‘n piazza, stanne certo,
la gente verrà solo pe’ er concerto!” .

​

Ogni primo maggio, a Roma, si tiene un concerto a piazza San Giovanni.

​

​

Si Garibbardi l’avesse saputo

​

Se parla tanto de ‘e celebbrazzioni
dell’unità de ‘sto nostro paese:
centocinquanta candeline accese
de ‘n popolo che ha visto distruzzioni, 

​

guere, disastri, e poi ricostruzzioni,
li sogni e poi l’idee che se so arrese
lasciando quest’Itajia in mal arnese
co’ ar posto de comando… Berlusconi!

​

Si Garibbardi l’avesse saputo
che Itajia che sarebbe diventata
tenuta insieme appena co’ lo sputo

​

corotta, sporca e assai maleducata,
avrebbe detto: “No! Io me rifiuto!”
sarvandoce da questa sceneggiata!

​

Con l’avvicinarsi delle celebrazioni dell’unità d’Italia, l’Anonimo fa una riflessione su quanto Garibaldi avrebbe apprezzato lo stato attuale delle cose.

​

​

Fumata bianca

​

Iersera è giunto ar Vaticano desco
dopo li voti der cardinalato,
un suddamericano porporato
che stava pure lui sotto l’affresco.

​

E dar loggione michelangiolesco
è ito ar finestrone e s’è affacciato
rivorto atturbiettorbi, e ha spopolato
dicenno: eccome qua, io so’ Francesco!

​

E noi, da spettatori de la sorte
de questa Roma che ospita l’Eterno,
nun famose illusioni, qui è ‘na guera…

​

Si pe’ fa’ ‘n Papa fumano tre vorte
pe’ da’ all’Itajia ‘n pegno de governo
tocca fumasse la Sibberia ‘ntera!

​

Il 13 marzo 2013 fu eletto Papa Francesco, intanto la crisi di governo continuava.

​

​

Ribellione del lettore

​

Poeti blasonati, ovvia, sentite:
il vostro verseggiar di rime tristi
altro non lascia in me che orgogli misti
al tedio intriso in ciò che voi ci dite

​

perché nel legger sempre rime trite
mi si rivolta pur la colicisti
e vedo voi come stolti narcisisti
che chiudon porte ch’io vi dico: APRITE!

​

Se la poesia di versi è la vendemmia
La vostra sembra quasi una bestemmia
Smettete quindi d’imitar la storia

​

Nel mondo siate quello che ora siete
Perché la storia che voi ripetete
Ci ha rotto l’anatomica amatoria!

​

In questo sonetto, l’Anonimo, educato alla lingua italiana, riflette sulla mania che hanno molti poeti di scrivere poesia classica imitando i classici. E basta!

sinfonia.jpeg

Sinfonia (Ensemble)

È in Sinfonia che lo stile dialogante arriva alla sua massima espressione. La poesia non smette di essere un percorso evolutivo, ma se il cammino è interiore, la necessità di rivolgersi al mondo, che altro non è che l’espressione esteriore di ciò che è interiore, diventa una guida lirica che si esprime nei versi.

In quest’ora così marcia
così insulsa
così mestamente passabile
scrivo versi.
Non cerco poesia, ma nobiltà del tempo
voglio che quest’ora non passi invano
e anche se scriverò sciocchezze
ho viva la speranza che saranno
una mano tesa
che chiama e chiama…

 

Come un fiore che non sa di appassire
mi vesto per la vita, la affronto
la penso senza fine, la spreco…
Tu no?
Non credo che vi sia un nesso tra ciò che fai e ciò che faccio
ma una similitudine, sì!
Siamo fatti della stessa carne
abbiamo le stesse paure
soffriamo per gli stessi motivi
ridiamo a volte
ed è come se la vita non contasse
come se non fossimo altro che individui
che passano e che nessuno ricorderà.
Eppure anche tu hai paura, come me, di essere inutile
anche tu appassirai, come me, e passerai
e allora, perché non prendersi per mano
correre a perdifiato giù da quel pendio, come due bambini
e invece di vivere nel buio
essere per un giorno, per un attimo, per un battito di palpebre
liberi come Dio?

 

Vorrei essere l’aria che si fa vento
per infilarmi sotto i tuoi vestiti
e lì
cercare la tua pelle fino ad esaurirmi.
Avessi potuto dirlo a vent’anni…
Ma il vento era tempesta stordita di paura
e la carezza bruciava
come paglia.
Oggi invece taccio
perché ti vedo come sei, non come ti voglio.
Oggi sono aria che si fa vento su di te
e ti abbraccio fino allo sfinimento
anche se non te ne avvedi.
Oggi è silenzio la parola
è vita la passione
è pace il tormento
e ciò che una volta volava in scintille
si fa soffio e accarezza le tue forme
in un palpito di tempo che dice:
avessi vent’anni, non t’amerei così tanto…

 

​

Serpe

​

Per poi tornar bambini
come se la vecchiezza nel suo lemme avvicinarsi
altro non fosse che un incantatore di serpenti
che nella melodia sospende la sorte
per poi, chiusa la cesta, avviarsi ad altri mercati.
Si può, forse, in un ammanco di veleno
uscir dal vimine e inoffensivi rastrellar villaggi
e, pur se non portatori di mortali morsi
d’intorno urla di paura e gesti incontrollati
si aprirebbero come ventagli fino ad esser strade
deserte per l’arrivo dell’infida bestia.
Ma la realtà ci vuole sedotti
da melodie inesperte e da occhi taglienti
per uscire al canto e rimaner chiusi al chiasso
perché di noi la serpeggiante natura
va controllata, e con essa anche l’angelo che vive
tra terra e cielo, in un incantamento ancora inespresso.
Dicevi: Kundalini, serpente piumato, tentatore dell’Eden
dormi, sei una serpe!
Invece io t’imploro: apri la cesta
lascia che io strisci fino a capire come si fa a volare
perché il rettile è canto di rondine capovolto
ma canto sarebbe, non serpe, se questa vecchiezza incantatrice
non avesse sospeso la mia sorte
di ritornar bambino al nuovo inizio
e all’altra morte.

 

La voglio piena di fuoco
la musica del mio funerale
e di vita schioppettante
e di chiacchiericcio denso.
Non suonatela in tono minore
le emozioni lasciatele da parte
la musica non si esprime con ciò che è stato
o che non è stato
ma con tutto quello che ancora resta da suonare…
Perché la musica è un vuoto
che chiede solo d’essere colmato
con nuove invenzioni, con nuove idee.
Per questo la mia morte voglio che sia piena di allegria
di colore, di gioia…
E se ho ben vissuto
salutatemi con un applauso!

grido.jpeg

GRIDO! (Rupe mutevole)

Con Grido si fa più evidente la necessità di uscire allo scoperto. La poesia, che ormai procede nella ricerca di una voce interiore senza bisogno di sperimentalismi, ora può aprirsi come un fiore e diventare più dialogante.

Vorrei avere un tuo minuto
tuo, non mio
per viverlo come lo vivi tu
e capirti.
Un solo minuto per essere te, non me
per entrare nel tuo corpo, nella tua mente, nel tuo spirito
vedere la tua anima,
e poi spaventarmi e tornare in me
perché solo in me posso vivere.
So che un solo minuto della tua vita mi renderebbe folle
non potrei tornare ad essere me.
Lo so,
ma in che altro modo posso amarti?
Io resto io, tu resti tu,
non conosco il tuo mondo,
lo immagino riflesso del mio
ma è altro.
E un tuo minuto val bene una vita di pazzia,
se vivendolo saprò cosa ho saputo darti.

 

Nella notte, quando il soffio della preghiera si addolcisce
e anche il silenzio si appresta a tacere
il mio respiro si fa gesto e traduce ansie nascoste.
Poi la coscienza ormai rilassata abbandona la realtà
per farsi sogno,
altra coscienza che di giorno dorme.
Solo allora si aggrovigliano pensieri e paure
in tormentate lotte.
È l’anima che a luce spenta si libera dal pegno
pagato da ogni uomo
In quel momento così astratto, così imprendibile, così fragile
l’uomo si avvicina a Dio, il suo Dio
che vigile sorveglia
e che perdona.

 

A voi, silenzi che siete tra le parole
e che soli non siete nulla
dedico il mio respiro
a bocca chiusa.
Siete lì senza saperlo, privi di tempo
a dare senso ad ogni poesia, ad ogni racconto.
Chi non vi pronuncia non conosce il valore della notte
della mestizia della morte
e della vita stessa
che solo grazie a voi si riconosce rumorosa.
Silenzi,
non lasciate che il mio canto si privi di voi
perché solo il vostro ritmo
la vostra pazienza
e il vostro essere sempre a disposizione, nell’attesa
sospesi tra un attimo e l’altro
dà un senso a ciò che non ha senso
Aiutatemi a cantare quest’ode muta
facendovi coro di vuoto e nulla
per ricordare che la parola
non esiste
senza il silenzio.

 

Per te, demone insano, sono in cammino
ho per bagaglio dubbi, riti, pensieri,
maledizioni, ritmi, insegnamenti,
sogni, esperienze, gemiti, silenzi…
Vado dove prima non ero
e dove ancora non sono.
Direbbe, uno studioso, che è il domani
ciò che mi porta a te.
Ma come credi?
Domani ancor non è, c’è solo adesso.
E senza guida adesso sono vivo
Perché solo così percorro il mio cammino.

 

Questo spaccato di silenzio
che traccia echi d’invidia
scagionandoli
non può per alcun tema andar disperso
né tantomeno aggiungersi al rumore
Può solo essere grido
salire dalle viscere alla gola
fino ad aprir la bocca e ventilare
con voce e con saliva
la sua folle ragione
Grido sarà, non tanto per sfogare
ansie represse
non per falciar dolore
né per disperazione
Grido sarà per esser dimensione
e per tracciare il senso
di questa vita mia
che piano passa…

incauta-magia.jpg

Incauta magia del mentre (Kairòs)

Ormai la poesia è diventata un cammino iniziatico e, dopo la sperimentazione metasimbolica, si passa a un livello più conciliante, seppur sempre impegnato nella ricerca dell’archetipo, tracciando una netta virata nello stile del poeta, che inizia a percorrere cammini di maggiore lirismo.

L’inizio

​

Ad una ad una le note di questa insana sinfonia
Come sorgendo da un’altra quiete
Si sciolgono e fluiscono lente
Fino a perdersi nei sogni
Preda di un unico spazio, risorgono nel mentre
E tutti i “mentre” si susseguono per non finire mai
Vivi nel momento che resta tale, come lo svolazzo di un lenzuolo al vento
Come la nuvola dissolta
E come la vita che è, e non può far altro che essere
Io le raccolgo e le canto
Ma loro vanno via
Si perdono e ritornano, si sfaldano e si accendono, muoiono e rivivono
Nel canto di una vita che scivola e passa
E che non torna.

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                                                                Fui forse un forse
                                                                Pertanto inutile

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Millantatori balordi
Saziatevi al mio banchetto
Ho troppo tempo che mi nasce dentro
Per perdermi nelle vostre abluzioni
E seppure sconfinaste tra oblio e catene
Io mi perderei nella fuga del vento
Nulla è dato al caso fuorché il vostro inutile schiamazzo
Che lascia indifferente l’universo
Nulla è vittima del vostro scempio
Finché il sogno ha un suo sogno da vivere

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                                A Pasolini

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                                             e il ticchettìo risolve ogni speranza

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In questa scalza notte
felpate idee sorvegliano
qualora illudermi volessi
che ancora esiste Dio

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quiete d’intanto si dilata
mentre apostata palpito
denso e buio
mi trangugia

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ch’io mi perda e non travisi
quanto ancor resta sconosciuto
a far di vita semina
perenne.

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Amore
Non accusarmi cieco e ritroso
Ma fonditi nel domani di un intarsio divino
Dividi bruciando ieri ed oggi e domani
Che ormai si fondono nei ricordi
Perché la vita stessa non sia eco
Di riflesso destinato a perire
Ma fiore che nasce vive e muore
E nel frattempo è seme

Da comunque uomo (Ellemme)

Il primo libro di Fiorentini esplora sperimentalismi metasimbolici ed è frutto di otto anni di ricerca. Il Metasimbolismo cerca l’origine del simbolo attraverso sonorità evocative, dove la poesia assume aspetti liturgiuci, diventando quasi un Mantra che traccia il cammino per arrivare all’archetipo.

Né ho bevuto sul greto dell’infida
Né tantomeno ne ho scorto il lugubrio
All’imbrunita quiete
           Tra selci inesprimenti
                   Ho pianto.

 

Il quando non trattiene                        ….fugge…. 

 

Hezebel atrittico trigamico
Ha l’anima tetragona
                   Iscrive esperendo
                   Quale silenzio e quale pudore Criptofante cratoressia
Immane riducesi atempore

 

È d’albe irosa quiete
Aria atlantica prima ostica
                   Ora alitare divino
                   E sul mio volto a scalfire nuove rughe
                   Non trovo desiderio che conosca il dove
                   Non apro destino che comprenda
                   Io volo
                   E quanto in una notte scompare
                   Così emana rattristato e traspira alieno il tempo
                   Per forse soffrire la morte dell’intanto

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